Golden power. Sulla partita pende il rischio di nullità degli atti relativi: valutazioni in corso per restringerla a
TelecomSparkle
La doppia centralità della rete d’accesso
Ci sono almeno due sponde per il governo legate al provvedimento con cui giovedì il gruppo di
coordinamento, che affianca la presidenza del Consiglio nell’esercizio dei poteri speciali, ha
contestato a Tim e Vivendi la violazione dell’obbligo di notifica. La prima è collegata alla rete
d’accesso di Tim, che ieri è tornata a ribadire l’insussistenza di alcun obbligo di notifica a suo
carico. Se si scorrono le quindici pagine dai tecnici di Palazzo Chigi, la posizione espressa è
molto chiara e sfrutta anche le relazioni presentate dai ministeri interessati: Tim detiene asset
che sono considerati attivi di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nel settore delle
comunicazioni. Ed è il Mise, in particolare, a sottolineare che tutte le tipologie di asset
individuate dal regolamento che dettaglia gli attivi strategici nelle tlc, sono nella disponibilità di
Tim: dalla rete d’accesso pubblica agli utenti finali in connessione con le reti metropolitane, i
router di servizio e le reti a lunga distanza, agli impianti utilizzati per la fornitura dell’accesso
agli utenti finali dei servizi inclusi negli obblighi del servizio universale.
Nelle sue conclusioni, poi, il gruppo di coordinamento riprende anche un passaggio della
relazione firmata dall’Agcom: quest’ultima sostiene altresì «che, sulla base della disamina dal
punto di vista tecnologico degli asset detenuti e gestiti da Tim, rilevano gli aspetti legati alla
tutela dell’utenza, con riferimento anche ai profili di sicurezza e di garanzia dell’universalità
del servizio. Senza contare, osserva ancora il gruppo di coordinamento, che diversi asset di Tim
sono giudicati cruciali anche ai fini della difesa e della sicurezza nazionale, oltre agli attivi di
Telecom Sparkle (cavi sottomarini) e Telsy (apparati e terminali di sicurezza Ict). Un esempio?
I tecnici citano, tra gli altri, la convenzione quadro stipulata nel 2011 tra Tim e il ministero
dell’Interno «per l’affidamento dei servizi di comunicazione elettronica e relative forniture
complementari e/o strumentali su tutto il territorio nazionale inerenti l’area dati, l’area fonia e
l’area Ict, nonché la regolamentazione del servizio inerenente gli strumenti di controllo delle
persone sottoposte a misure cautelari». E ancora, i servizi per le esigenze del numero unico di
Emergenza europea 111 o per il servizio di gestione informativo della polizia stradale, solo per
citarne alcuni. «Costituisce pertando un dato di fatto incontrovertibile - si legge nelle
conclusioni del gruppo - che Tim, in proprio o tramite le sue controllate, svolge attività di
rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale». Una doppia blindatura,
dunque, che rende ancora più evidente, alla luce delle norme sul golden power, la rilevanza
dell’infrastruttura di Tim. Offrendo di fatto un assist tutt’altro che trascurabile alle valutazioni
in corso circa un possibile riassetto della rete, al di là della declinazione futura di questa partita.
L’altra sponda, che non è contenuta nelle quindici pagine firmate dai tecnici di Palazzo Chigi,
ma che è influenzata dalle loro conclusioni sul gruppo francese di tlc, è il rischio di nullità degli
atti connessi all’inadempimento sulla notifica. Il riferimento è nel decreto legge sul golden
power (n.21 del 15 marzo 2012), ma il passaggio non è chiarissimo e l’assenza di precedenti
non agevola l’interpretazione della norma e l’esatta definizione dei suoi possibili effetti.
Tuttavia, ci sarebbero degli approfondimenti in corso a livello ministeriale: l’orientamento
sarebbe quello di delimitare il campo di applicazione alla sola Telecom Sparkle.
Nel testo firmato dal gruppo di coordinamento, si legge che Vivendi avrebbe dovuto notificare,
trattandosi di partecipazioni in imprese che svolgono attività di rilevanza strategica per il
sistema di difesa e sicurezza nazionale e, nel caso di Telecom Italia, anche di una società
quotata, laddove, a seguito dell’acquisizione, si fosse trovata a detenere una partecipazione
superiore all’articolo 120 del Testo unico della finanza (Tuf), vale a dire il 3 per cento. E, dalla
mancata comunicazione, discenderebbe quindi il rischio di nullità, la cui portata, come detto, è
difficile da determinare vista l’atipicità del caso e in assenza di precedenti. Ma è chiaro che
quel passaggio, qualora ne venissero precisati i contorni, potrebbe trasformarsi in uno
strumento importante perché scatterebbe «ex lege».
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Celestina Dominelli |